A tempo debito e senza fretta pubblico due righe di resoconto sulla mia avventura Parigina.Mi son messo sin dallo start ad un ritmo che sentivo mio, ascoltando le sensazioni più che il cicalino kilometrico del Garmin capendo sin da subito che stava dando dati lontanissimi dalla realtà. Ogni tanto buttavo l’occhio sul cardio, costante sotto i 165 bpm. I primi 21km sono trascorsi in leggerezza ed in leggera progressione dai 4’47’’/km dei primi 5km fino ai 4’39’’/km tra il 15° e il 21° km. Al passagio alla mezza mi guardo intorno alla ricerca dell'amico Alberto che qua mi aspetta per farmi da pace-maker fino al traguardo.
Avere Alberto accanto mi ha sicuramente aiutato a non mollare ma tenergli dietro non è stato facile, sin da subito fresco e pimpante come era procedeva a strappi, superando i gruppetti in spinta poi rallentando. Abituato come sono a mantenere un passo costante ho capito che cercare di stargli dietro mi sarebbe costato caro così ho deciso che non dovevo lasciarmi influenzare troppo e lasciandolo andare avanti aspettavo che si accorgesse della mia assenza alle sue spalle per rallentare ed aspettarmi, così è stato più e più volte. Questa tattica pur salvandomi le gambe mi ha un po’ frenato facendomi chiudere i parziali tra il 25° ed il 30° e quello tra il 30° ed il 35° rispettivamente a 4’51’’/km e 4’53’’/km, complici del rallentamento sono stati pure i numerosi sottopassi che tagliavano un po’ il ritmo. Accortici di questo mio repentino rallentamento (nel frattempo avevo tolto i lap automatici al Garmin iniziando a fare i lap manuali sotto ai vari cartelli chilometrici), Alberto decide quindi che doveva spronarmi per farmi arrivare alle 3hr e 20’ oppure che dovevo morire lungo le strade della città dell’amore.
Costringendomi a suon di improperi a seguirlo al suo passo che si attestava spesso sotto i 4’35’’/km, mi stava letteralmente trascinando verbalmente al traguardo, “forza, forza, leggero sulle gambe, fai lavorare i piedi come dice Huber”; “dai che non hai neanche la faccia stanca”; “se mi chiudi in progressione come stai facendo e non arrivi neanche stanco mi fai incazzare”. E così tra un infamata e l’altra i km continuavano a trascorrere abbastanza rapidi. Il cuore si stava un po’ infervorando di questo mio incedere e sforava spesso i 172bpm, complici anche i km che passavano oltre che le sparate sopra al ritmo maratona. Il mio stomachino ormai vuoto borbottava e le integrazioni di acqua mi hanno fatto fare un paio di sbuffi di bocca un po’ rumorosi che un simapatico podista d’oltralpe sottolineava verbalmente con “opss, la banane”, sorridendo e riferendosi all’ultimo ristoro solido appena passato. Così tra mille passi, sorpassi, sbuffi e parole ci portavamo sempre più vicini al traguardo, chiudevo il 42°km a 4’29’’/km con Alberto che nel frattempo mi lasciava solo invitato da una gentilissima attendente parigina che lo invita ad uscire con un “pardon monsieur”. Teso com’ero a chiudere forte quasi non mi accorgevo del tifo degli amici di Diabete No Limits lungo il percorso che mi attendevano lungo le transenne proprio al 42°km inneggiando al mio nome, complice di questo anche la confusione che che mi regnava in testa data dall’aver sentito per più di 3hr l’inneggiamento francese per eccellenza “aleee, alee”. Trovo la forza di fare anche uno sprint finale per guadagnare (non si capisce a che scopo) un ulteriore posto in classifica. E così in 3hr e 20’ 12’’ concludo la mia “passeggiata” parigina soddisfatto e fiero. Forse ho sacrificato il mio dono, ma non è detto che il mio dono sia da esprimersi proprio come podista magari il mio dono è in altri ambiti o luoghi. In definitiva la mia performance atletica parigina è stato il miglior coronamento di una preparazione affrontata con serenità e senza assilli cronometrici. Il timing che ottenni a Berlino di 3hr e 11min, mio miglior crono in maratona, realizzato con il peso di 69kg scarsi conseguenza dell’esordio del diabete e sintesi di una carica mentale fortissima che mi era data dalla voglia di rivalsa che mi permetteva allenamenti che ora giudico massacranti, pur lontano non si colloca a distanza abissale. Ora è diverso, non peggio o meglio solo diverso. Non correvo, volavo tra le strade parigine senza sforzo mentale alcuno, così è stato quasi fino in fondo a questa maratona. Giocoforza gli ultimi 5-6km ho dovuto chiudere gli occhi ed immaginarmi di non star facendo fatica ma nonostante tutto mentalmente questa gara l’ho sofferta pochissimo.
Auguro a tutti di poter preparare una maratona con la serenità d’animo che ho avuto io negli ultimi 3 mesi. Non guardare il cronometro non significa non far bene, non è sempre il momento di fare gli eroi. Talvolta è giusto accontentarsi di quello che siamo e godere del momento senza pretendere di essere ciò che non siamo. Non so se quello che ho ottenuto a Parigi fosse realmente il massimo del dono che potevo esprimere quello che so per certo è che comunque vivere quella giornata mi ha emozionato, lascio parlare le lacrime che per ben tre volte sono scivolate sulle mie guance correndo in mezzo a 40000 persone. Correndo nella massa i primi km negli Champs Elysees, incrociando i molti che spingevano la carrozzina di una bambina costretta in sedia a rotelle e ancora nel Bois de Boulogne quando sentivo che stavo ancora correndo.
Avere Alberto accanto mi ha sicuramente aiutato a non mollare ma tenergli dietro non è stato facile, sin da subito fresco e pimpante come era procedeva a strappi, superando i gruppetti in spinta poi rallentando. Abituato come sono a mantenere un passo costante ho capito che cercare di stargli dietro mi sarebbe costato caro così ho deciso che non dovevo lasciarmi influenzare troppo e lasciandolo andare avanti aspettavo che si accorgesse della mia assenza alle sue spalle per rallentare ed aspettarmi, così è stato più e più volte. Questa tattica pur salvandomi le gambe mi ha un po’ frenato facendomi chiudere i parziali tra il 25° ed il 30° e quello tra il 30° ed il 35° rispettivamente a 4’51’’/km e 4’53’’/km, complici del rallentamento sono stati pure i numerosi sottopassi che tagliavano un po’ il ritmo. Accortici di questo mio repentino rallentamento (nel frattempo avevo tolto i lap automatici al Garmin iniziando a fare i lap manuali sotto ai vari cartelli chilometrici), Alberto decide quindi che doveva spronarmi per farmi arrivare alle 3hr e 20’ oppure che dovevo morire lungo le strade della città dell’amore.
Costringendomi a suon di improperi a seguirlo al suo passo che si attestava spesso sotto i 4’35’’/km, mi stava letteralmente trascinando verbalmente al traguardo, “forza, forza, leggero sulle gambe, fai lavorare i piedi come dice Huber”; “dai che non hai neanche la faccia stanca”; “se mi chiudi in progressione come stai facendo e non arrivi neanche stanco mi fai incazzare”. E così tra un infamata e l’altra i km continuavano a trascorrere abbastanza rapidi. Il cuore si stava un po’ infervorando di questo mio incedere e sforava spesso i 172bpm, complici anche i km che passavano oltre che le sparate sopra al ritmo maratona. Il mio stomachino ormai vuoto borbottava e le integrazioni di acqua mi hanno fatto fare un paio di sbuffi di bocca un po’ rumorosi che un simapatico podista d’oltralpe sottolineava verbalmente con “opss, la banane”, sorridendo e riferendosi all’ultimo ristoro solido appena passato. Così tra mille passi, sorpassi, sbuffi e parole ci portavamo sempre più vicini al traguardo, chiudevo il 42°km a 4’29’’/km con Alberto che nel frattempo mi lasciava solo invitato da una gentilissima attendente parigina che lo invita ad uscire con un “pardon monsieur”. Teso com’ero a chiudere forte quasi non mi accorgevo del tifo degli amici di Diabete No Limits lungo il percorso che mi attendevano lungo le transenne proprio al 42°km inneggiando al mio nome, complice di questo anche la confusione che che mi regnava in testa data dall’aver sentito per più di 3hr l’inneggiamento francese per eccellenza “aleee, alee”. Trovo la forza di fare anche uno sprint finale per guadagnare (non si capisce a che scopo) un ulteriore posto in classifica. E così in 3hr e 20’ 12’’ concludo la mia “passeggiata” parigina soddisfatto e fiero. Forse ho sacrificato il mio dono, ma non è detto che il mio dono sia da esprimersi proprio come podista magari il mio dono è in altri ambiti o luoghi. In definitiva la mia performance atletica parigina è stato il miglior coronamento di una preparazione affrontata con serenità e senza assilli cronometrici. Il timing che ottenni a Berlino di 3hr e 11min, mio miglior crono in maratona, realizzato con il peso di 69kg scarsi conseguenza dell’esordio del diabete e sintesi di una carica mentale fortissima che mi era data dalla voglia di rivalsa che mi permetteva allenamenti che ora giudico massacranti, pur lontano non si colloca a distanza abissale. Ora è diverso, non peggio o meglio solo diverso. Non correvo, volavo tra le strade parigine senza sforzo mentale alcuno, così è stato quasi fino in fondo a questa maratona. Giocoforza gli ultimi 5-6km ho dovuto chiudere gli occhi ed immaginarmi di non star facendo fatica ma nonostante tutto mentalmente questa gara l’ho sofferta pochissimo.
Auguro a tutti di poter preparare una maratona con la serenità d’animo che ho avuto io negli ultimi 3 mesi. Non guardare il cronometro non significa non far bene, non è sempre il momento di fare gli eroi. Talvolta è giusto accontentarsi di quello che siamo e godere del momento senza pretendere di essere ciò che non siamo. Non so se quello che ho ottenuto a Parigi fosse realmente il massimo del dono che potevo esprimere quello che so per certo è che comunque vivere quella giornata mi ha emozionato, lascio parlare le lacrime che per ben tre volte sono scivolate sulle mie guance correndo in mezzo a 40000 persone. Correndo nella massa i primi km negli Champs Elysees, incrociando i molti che spingevano la carrozzina di una bambina costretta in sedia a rotelle e ancora nel Bois de Boulogne quando sentivo che stavo ancora correndo.